VIVERE
A TORINO
Osservazioni
semiserie in omaggio al detto "Paese che vai……"
Una sera
Giangastone dei Medici, sentendosi depresso, chiamò a sé il Fagioli
perché lo risollevasse con qualche bella bischerata. E
quello, che era un comico con i controfiocchi, "Vi dirò che
ovunque vada non sento altro che parlar bene della signoria vostra".
"Ma….",
osservò il granduca, "veramente…..mi aspettavo una
bischerata !"
Al che
l’altro, ribattendo prontamente : "E dove la trovereste una
più buona di questa ?"
Non è
per cattiveria, ma ogni volta che rifletto sulle differenze che
intercorrono a Torino tra dire e fare, non posso fare a meno di
apprezzare l'arguzia insita in questo gustoso aneddoto.
Contrasti
Sono
quelli che più fanno rabbia.
E’
tipico della zona promuovere iniziative lontanissime dai reali
bisogni del momento.
Qualche
esempio ?
La Fiat
sbatte per strada diverse migliaia di dipendenti. Potrebbe essere il
momento buono per incrementare la presenza degli hard discount.
Cos’è, invece, che ti vanno ad organizzare ? Quella provocazione
bella e buona che è il salone del gusto; una carrellata
gastronomica stracolma di leccornie che toccano, con l’avvento
dell’euro, prezzi più proibitivi delle prestazioni praticate dal
Viva Lain.
Passando,
poi, alle consuetudini è impossibile non notare atteggiamenti e
reazioni lontanissimi dal modo in cui ci si comporta nel resto del
paese.
Se
schiacciaste la coda d’un cane, con tutta probabilità la bestiola
s’affretterebbe a mordervi. Pestando malamente un piede (specie se
afflitto da calli) un partenopeo non ci penserebbe due volte a
mandarvi a quel paese. Operando allo stesso modo nei confronti d’un
torinese tutto lascia presumere che si asterrebbe dall’imprecare,
ma vi affliggerebbe con educate osservazioni sul modo più corretto
di movimentare le scarpe.
L’italiano
medio non può trattenersi dall’esternare i propri stati d’animo.
Un protesto cambiario è più che sufficiente ad impegnarlo su vasti
e coloriti campionari di bestemmie. Un terno a lotto lo spingerebbe a
fischiettare l’intero repertorio delle melodie preferite. Tutto al
contrario del vero torinese che, preoccupatissimo di occultare a
chicchessia i propri stati d’animo, non farebbe una piega nella
buona come nella cattiva sorte. Al punto che gli si potrebbero
riconoscere doti simili a quelle dei Galiziani; gente, a quanto pare,
capace di assumere atteggiamenti tanto ermetici che, incontrandoli
per le scale, non ti fanno capire se stanno salendo o scendendo.
Per
distinguere al volo un torinese doc da un immigrato non c’è nulla
di meglio d’una pioggia improvvisa. Il secondo si agiterà
scompostamente alla ricerca d’un riparo, probabilmente non si
tratterrà dall’imprecare e, trovato riparo in un androne, si
soffermerà a verificare platealmente lo stato del proprio
abbigliamento.
L’autoctono,
per contro, continuerà a camminare con la stessa naturalezza di chi
procede sotto un cielo sereno. E per spingerlo ad infilare un portone
occorrerà che l’acqua si decida ad assumere connotati torrentizi.
Impossibile
salvarsi dalla
Pignoleria
perbenista
Nutro il
fondato sospetto che le delizie del politically correct non
siano affatto farina del sacco USA, ma derivino dritto dritto dal
modo di esprimersi degli abitanti di questa città.
Per
convincersene basta scorrere le rubriche dei lettori che da
queste parti sembrano fatte apposta per salvaguardare l’dentità
culturale di quanti proprio non intendono rinunciare al proprio modo
d’affrontare le cose.
Lettere
che sembrano traslate pari da qualche garbato manuale ottocentesco
redatto ad uso e consumo dei lettori di Bersezio. Al punto che se chi
legge ha la sventura di essere forestiero avrà qualche
difficoltà a scacciare il dubbio che la cosa possa nascondere
studiate prese per il culo.
Sono
missive che hanno il pregio di non trascurare proprio nulla.
Una targa posta di sghimbescio in qualche vialetto di periferia
diventa questione di vita o di morte. La denuncia dello sconcio
si tira dietro, di norma, svariati altri interventi emulativi, che si
concretizzano nella più serrata caccia a locandine e contrassegni
fuori posto. Tutti avranno qualcosa da lamentare e non si daranno
pace se non dopo aver collezionato petizioni su petizioni, appelli e
quant’altro serva a smuovere i competenti servizi comunali che,
reagendo con puntigliose precisazioni, contribuiranno ad allungare il
brodo all’infinito.
Non
manca nemmeno una certa vena delatoria che, quando non colpisce gente
poco sensibile alle implicazioni ecologiche delle deiezioni canine,
non può fare a meno di accanirsi su cespugli maltosati come su
muretti sfregiati da antipatiche screpolature.
Ormai si
procede per specializzazioni, che consentono ai più calvinisti di
segnalare equivoci andirivieni condominiali, casi di turpiloquio, per
non parlare di manifesti la cui sconcezza viene millimetricamente
valutata in rapporto alla stoffa impiegata a nasconde le nudità.
Gli
amministratori
E’
difficile che riescano a sottrarsi al fascino delle problematiche
intercontinentali.
Come
catapultati da una capsula spaziale, restano condizionati da
vocazioni accentuatamente universalistiche.
Poniamo
che in quartiere si sia creata una voragine che rischia di spedire
all’ospedale quanti transitano nei paraggi. State pur certi che,
prima di affrontare la cosa, il consiglio circoscrizionale non
mancherà di cimentarsi in dibattiti e conseguenti ordini del giorno
sull’andamento dei rapporti USA - Afganistan, con particolare
riguardo agli sviluppi della crisi irachena.
Non è
colpa loro; hanno mutuato la cosa dai politici che si sono incaricati
del loro svezzamento. Il che spiega anche perché la civica
amministrazione mostri sensibilità ancora maggiore in fatto di
problematiche internazionali.
Costretti
a calarsi sui problemi di loro effettiva competenza, i consiglieri
non possono fare a meno di affrontarli alla grande.
Mentre
l’indice di scolarizzazione si orienta sempre più minacciosamente
verso il basso si finisce per puntare su Torino capitale della
cultura europea.
Per
fronteggiare opportunamente il vandalismo di chi non risparmia
nemmeno le panchine del giardinetto sotto casa pare non ci sia
rimedio migliore dell’allestimento di mostre ambientaliste i cui
costi non mancheranno di rivelarsi inversamente proporzionali al
flusso di visitatori che saranno in grado di richiamare. E per
colmare eventuali carenze nella dovizia del patrimonio artistico non
si potrà fare a meno di studiare acquisizioni di beni,
presumibilmente artistici, da selezionarsi sulla base del maggior
costo possibile.
E’
fatale che sia così. Le poltrone della Sala Rossa pare abbiano il
potere (non si dimentichi che viviamo in una città magica per
eccellenza) di trasformare in altrettanti esperti individui fermi
alla scuola dell’obbligo. Non fanno in tempo a posarvi il culo che
già sono in grado di sparare soluzioni ottimali per ogni tipo di
esigenza (ordinaria o infrastrutturale che sia). Siffatte intuizioni,
ovviamente, non potranno fare a meno di testarsi corroborandosi col
sistematico ricorso a numerose trasferte; indispensabili per vedere
un po come se la cavano gli altri capoluoghi; segnatamente quelli
d'oltreoceano, ma anche (pena antipatici sospetti di razzismo) le
metropoli del continente nero.
La
diversificazione
Al
ritorno da stressanti turnèe, scopriranno che qualche altro pezzo
della produzione locale ne ha approfittato per prendere il largo. Ma
che importa? Quel che conta è avere in tasca le ricette giuste;
quelle che guardano al futuro con un tocco di salutare pionierismo.
Se anche le industrie trasmigrano sarà tanto di guadagnato sotto il
profilo della lotta all’inquinamento. Male che vada si potrà
sempre ripiegare su promettenti riconversioni indirizzate al turismo
culturale, senza trascurare quello agro-alimentare. E’ vero che,
non fosse stato per MacDonald’s, quei quattro gatti piombati a
Porta Nuova in pieno Agosto avrebbero avuto tutto il tempo di crepare
di fame. Ma perché mettersi a sottilizzare ? E’ risaputo che,
sulle prime, nessun sistema d’accoglienza nasce perfetto. Occorre
dare tempo al tempo, attivare investimenti e stimolare la creatività
di quanti, avendo trascorso alla catena di montaggio buona parte
dell’esistenza, non possono non avervi acquisito quelle preziose
cognizioni che li metteranno in grado di trasformarsi in altrettanti
menager della piccola e media imprenditoria di settore.
Il
laboratorio dell’arte
Si
articola, in definitiva, sui grossi filoni dell’arte di regime,
delle potenzialità delle nuove leve, nonchè sulla creatività
d’importazione.
Molto si
può fare partendo dalle strutture propulsive; da quei motori
incentivanti, vale a dire, che è indispensabile riservare a
quanti operano su incarico dell’amministrazione. Professionisti,
per intenderci, che mettono tutto il loro estro nell’abbellire la
città con monumenti ed installazioni destinati, da un lato ad
assicurare il tutto esaurito sotto il profilo turistico (v. Luci
d’artista ), dall’altro, a stimolare, con l’esempio, il
serbatoio delle nuove leve che, originariamente composto da precari
dell’occupazione, lascia ben sperare per il futuro.
E
vogliamo trascurare il vero e proprio asso nella manica ? Quello che
punta sui flussi migratori degli extraeuropei ?
Non c’è
miglior modo di favorire l’accoglienza dei nuovi arrivati se non
rilanciare, valorizzandolo al massimo, il patrimonio culturale ed
artistico del quale sono portatori. Un bene prezioso che va, non solo
tutelato, ma anche adeguatamente finanziato e ripetutamente proposto
all’attenzione dell’elemento indigeno, promuovendo esibizioni a
base di danze tribali e varie altre rappresentazioni che solo gli
autoctoni più retrogradi (congiuntamente agli incontentabili di San
Salvario) si ostinano a ritenere subalterni alle coreografie di
chiaro stampo europeo.
Umanofobia
e Convegnomania
Due
carattertistiche che nel capoluogo subalpino procedono tenendosi per
mano.
Per
tacita intesa, costume o tradizione, non c’è condominio che non
sia blindato contro i pericoli della conversazione. Del tutto
naturale, per gli oriundi, ignorare l’esistenza di chi vive al
piano di sotto come a quello di sopra.
Altrove,
prima o poi qualche battibecco condominiale potrebbe servire a
rompere il ghiaccio. Cosa, da noi, del tutto impensabile, visto che,
per consolidata abitudine, si preferisce rivolgersi direttamente
all’amministratore, al comando dei vigili, quando non addirittura a
quello della benemerita.
Chi è
immigrato da tempo ci ha fatto il callo, ma per i nuovi arrivati sono
c.. Passeranno settimane, se non mesi, prima che scaccino il dubbio
che l’intero condominio possa avercela con loro.
Perfino
i balconi, che nelle altre città del belpaese servono a
curiosare sulle faccende del vicinato, qui hanno un ruolo decisamente
ornamentale. Non fosse per l’immagine, potreste eliminarli che gli
abitanti nemmeno se ne accorgerebbero.
Se
provate a rivolgere una battuta al dirimpettaio, è da escludere che
possa rispondervi per le rime. Molto più probabile che vi giudichi
un mezzo squinternato. E non è detto che non si affretti a togliervi
il saluto.
Fatta
eccezione per gli uffici pubblici (notoriamente presidiati da
personale mediterraneo), quelli gestiti e condotti da elementi
indigeni mantengono ancora la consegna del silenzio. A chi dovesse
penetrarvi, arrivando fresco fresco da Roma o da Napoli, nulla e
nessuno toglierebbe dalla testa d’esservi piombato nel momento meno
indicato. I più accorti se ne allontanerebbero alla svelta,
convintissimi che da un momento all’altro potrebbero trovarsi
testimoni d’una baruffa fra dipendenti la cui tensione (tutto lo
lascia intendere) pare giunta al punto di rottura.
Ci sono
momenti in cui prende corpo il sospetto che la città più che di
esseri umani sia popolata da quei moderni alieni comunemente definiti
risorse umane.
Si
potrebbe concludere che, escluse le rituali espressioni di saluto
(buongiorno e buonasera), nemmeno sottoposta a tortura, gente
siffatta riuscirebbe ad imbastire un dialogo da cristiani.
Ed
invece non è così.
Per un
fenomeno di tipo compensatorio tutto ciò che non si riesce a cavare
di bocca a livello di rapporti interpersonali finisce per scaricarsi,
con massima irruenza, nell’alveo degli innumerevoli convegni,
incontri, dibattiti e tavole rotonde la cui sola elencazione assicura
pane e companatico agli editori delle tante guide gratuite
generosamente disseminate per ogni dove.
Sono
iniziative che rivelano verità impensate. Non si finirà mai di
meravigliarsi su quanto numerose siano le persone interessate a
seguire con la massima attenzione argomenti sconosciuti perfino alle
più aggiornate edizioni della Treccani.
Frequentatori
di corsi e riunioni che non trascurano proprio niente dovranno avere
una testa così. Non è da escludere che siano altrettanti geni. E
questo, forse, servirebbe a spiegare la difficoltà cui vanno
incontro quando, tirati per i capelli, dovessero intrattenersi a
conversare del più e del meno.
Cadaveri
eccellenti
Torino
ha mille buone ragioni per contendere a Milano la palma delle
conquiste liberali.
Non
dimentichiamo che vi è stato promulgato uno Statuto (senza contare
che c’è pure una piazza) mentre quei disgraziati di meneghini
erano ancora aggrappati alle barricate del ’48. Del tutto naturale
che vi s’incoraggino le iniziative più svariate ed innovative;
anche quelle meno pulite.
Due sole
cose è impossibile fare: edulcorare la cappa di grigiore che la
sovrasta e praticarvi la carriera di scrittore, pensatore o affine.
Due
limiti per i quali sarebbe ingeneroso gettare la croce sui
responsabili dell’amministrazione. Il fenomeno ha datazione
plurisecolare e non resta altro da fare che mettersi l’anima in
pace.
Già nel
settecento, a Casanova (che pure era uno stacanovista in fatto di
permanenze nelle città europee) gli si rizzarono i capelli al punto
che, dopo un solo pernottamento, si precipitò ad allontanarsene.
Tra i
rari viaggiatori che avevano invece onorato la città con più lunga
permanenza figura nientepopodimeno che il celebre Nostradamus.
Un’eccezione ? E dove altro avrebbe potuto trovare l’ispirazione
necessaria a ritoccare nel modo più appropriato le sue profezie ?
(Una produzione che non è esattamente quanto di più esilarante la
letteratura dell’epoca fosse in grado di sfornare).
Non è
trascorso un ventennio da quando ci si provò a forzare la sorte
sfruttando la circostanza del Carnevale.
Non
l’avessero mai fatto ! Non solo la città, ma finanche i dintorni
restarono funestati da una serie di sciagure tanto gravi da occupare
larga parte dei telegiornali nazionali.
Agli
scrittori non farebbe male una buona dosa di sana superstizione
(meglio ancora se accompagnata da valide cognizioni circa l’impiego
delle più efficaci pratiche scaramantiche).
Prima di
metter mano alla penna, dovrebbero strofinare a più riprese il corno
portafortuna, grattarsi a fondo le palle ed assicurarsi che il ferro
di cavallo sia sempre ben fisso dietro l’uscio di casa. Quanti,
forse perché menomati da eccessivo laicismo, hanno trascurato di
farlo, non sono sfuggiti ad una sorte che, nel più benigno dei casi,
li ha spediti difilato in manicomio.
Editoria
locale
I rari
superstiti della mattanza, fermamente decisi a non lasciarsi fottere,
devono aver stretto con la malasorte un patto, in virtù del quale
potranno risparmiarsi il funerale a condizione che trattino solo ed
esclusivamente argomenti di natura tale da garantire assoluta
indifferenza in chi vive fuori dai confini del Piemonte-Val d’Aosta.
Per
tacito accordo le case editrici, che pure sono numerose, vivacchiano
sfornando testi rigorosamente omologati sotto il profilo del
localismo. Uniche produzioni praticabili: la memorialistica (specie
se limitata a casa Savoia ed ai soli combattenti piemontesi
dell’antifascismo), la saggistica (di piccolo cabotaggio),
almanacchi e calendari. Unico strappo consentito: i trattati di
esoterismo che, risultando produzione tipica del capoluogo subalpino,
potranno spaziare a proprio piacimento impestando a più non posso le
centinaia di bancarelle disseminate lungo i portici del centro
storico ed alimentando un'altra tipica specialità locale; quella
della
Misteriologia
esoterica
Per ogni
centro abitato una fontana è una fontana, ed una statua nient'altro
che una statua. Uniche cose capaci di catturare l'attenzione: quelle
che hanno a che vedere con la loro funzionalità. Ci si preoccupa che
l'erogazione dell'acqua sia tale da non favorire antipatici
straripamenti e ci si assicura che la statua non risulti posizionata
alla carlona; col pericolo che vada a fracassare il cranio di
innocenti passanti. Attenzioni, queste, che, per i torinesi,
rivestono ruoli del tutto marginali al confronto degli arcani
significati che deve obbligatoriamente possedere ogni monumento che
si rispetti.
Perchè
mai la tale statua ha un dito puntato in avanti ? Se affermassi che
all'artista riusciva bene così direi una grossa bestialità. Per
vedere le cose nella loro giusta luce è necessario comportarsi come
faceva Totò nella celebre scena del vagone letto. Partire
dall'inclinazione dell'arto per seguire una traiettoria ideale che,
nel caso del comico, portava difilato al fondo schiena della
Barzizza, ma che, nel capoluogo subalpino, non può fare a meno di
indicare centri di forza (che, va puntualizzato, poco hanno a che
vedere con la residenza dell'Avvocato).
Poniamo
che uno abbia costruito una meridiana. E' perchè gli mancava
l'orologio ! Direste; e sbagliereste di grosso. Arrivereste a
correggervi solo con l'aiuto di chi, provvisto della necessaria
pazienza, vi farebbe notare che il diametro del marchingegno, elevato
al quadrato e moltiplicato per cinque, corrisponde esattamente alla
guglia della Mole. Un arcano, che pone, ovviamente, grossi dilemmi,
sui quali da tempo si sta scervellando il fior fiore dei ricercatori.
Specie dopo che sono state scoperte inquietanti analogie tra l'arcata
del portone sottostante ed un'architrave della sede che un tempo
ospitava la confraternita della buona morte.
Le
fisse
Qualsiasi
persona normale lascia intendere d’aver superato la soglia
dell’adolescenza nel momento in cui mostra di voler arricchire con
continue innovazioni i propri riferimenti culturali.
Questa
regola, universalmente accettata, pare proprio che a Torino non goda
diritto di cittadinanza. Per dirla più chiaramente, non si è
considerati sotto il profilo letterario se si ha la disgrazia di non
conoscere vita, morte e miracoli di Pavese. Uno che te lo trovi
dappertutto, manco fosse il fondatore di qualche religione o un
fantasma in vena di persecuzioni.
Non è
detto nemmeno che quanti ne parlano abbiano letto i suoi libri, ma
sono costretti a farlo per non passare da ignoranti. Un
comportamento, del resto, già abbondantemente collaudato a carico di
De Amicis; uno che ha smesso di andare alla grande da quando s’è
risaputo che si comportava, nella vita privata, in modo
diametralmente opposto da come voleva darla a bere in quel suo
capolavoro che ci ha guastato le migliori giornate della nostra
infanzia.
A
nessuno salta in mente che, quando l’insistenza supera i limiti
dell’umana tolleranza, si rischia di rievocare ciò che Mark Twain
ebbe a dire a proposito di Michelamgelo (Andando a Roma e
scoprendovi i suoi capolavori rimpiangerete che un tale genio non sia
più in vita. Tuttavia, permanendovi per qualche tempo e sentendo
parlare sempre e solo di Michelangelo, finirete col rimpiangere di
non averlo visto morire)
Gli
eroi
Per
svariate generazioni tutti i ragazzi che approdavano in quinta
dovevano vedersela con una specie di kami-kaze ante litteram e
piemontese doc che, pur di togliersi la soddisfazione di andare in c.
ai francesi, s’attaccava alla fiaccola per cacciarla deciso dentro
un barile di polvere .
Progredendo
negli anni, quegli innocenti, resi edotti sulla scarsa propensione
degli italiani a trasformarsi in bombe umane, avrebbero intuito che i
fatti non erano andati esattamente come narrati dai testi scolastici.
Più d’uno si sarà chiesto, allora, in cosa consisteva l’atto
altamente eroico del minatore di Sagliano.
Domanda
di tutto rispetto, ma alla quale è difficile rispondere se si
prescinde da talune caratteristiche tipiche degli eserciti sabaudi.
In tutte
le battaglie la gente muore senza fare tante storie. Non è, in altri
termini, che, prima di esporsi al pericolo, uno possa dire "Accetto
lo scontro a patto che, se dovesse andarmi male, ho la garanzia del
monumento".
A San
Martino, come a Solferino, i soldati che hanno fatto l’Italia
morivano come mosche, ben consci del fatto che gli alti comandi se ne
sarebbero fottuti di tramandarne la memoria. Ed allora? Come spiegare
che Pietro Micca, più che un eroe, è considerato l’EROE; una
figura, vale a dire, più unica che rara ?
Il
bandolo della matassa sta tutto nelle tradizioni belliche del vecchio
Piemonte, i cui eserciti erano composti da gente coraggiosissima, ma
assolutamente incapace di prendere iniziative.
Ora, il
fatto che un semplice minatore, presumibilmente analfabeta, avesse
fatto qualcosa senza aspettare che gli venisse ordinata non poteva
non concentrare su di lui l’attenzione sbalordita (prima ancora che
ammirata) dei condottieri dell’epoca. Quando c. mai s’era visto
qualcuno provvedere di testa propria alle emergenze d’un assedio ?
Chissà
quanti commilitoni dell’uomo trasformato in monumento saranno morti
in maniera del tutto gratuita per seguire ciecamente la consegna d’un
qualche sergente che potrebbe aver intimato al Pautasso di
turno: "Monta di guardia qui e non ti muovere !"
Quello se ne sarebbe rimasto più immobile d’uno spaventapasseri,
pronto a fare da bersaglio ad assalitori tanto incazzati da farlo
secco prima ancora che potesse accorgersene.
Ve le
ricordate le cariche del Savoia Cavalleria contro le batterie
russe nella seconda guerra mondiale ? Una galoppata verso lo
sterminio accettata senza che a nessuno saltasse in mente di
telefonare alla neuro per verificare se chi aveva dato l’ordine
fosse con le rotelle a posto. Risultato ? Tutti morti stecchiti (come
la pubblicità d’un rinomato insetticida). Provate un po’ a
girare per le strade di Torino, e se trovate un solo monumento
dedicato a quei poveracci siete pregati di farmi un fischio.
Il
muro del pianto
Chi è
convinto che le funzioni dell’omonimo reperto costituiscano
un’esclusiva dell’ortodossia ebraica farebbe bene a toglierselo
dalla testa.
Per
esteriorizzare le proprie doglianze sui perduti splendori Torino può
fare a meno dell'ausilio di antiche muraglie. Giornali, convegni e le
stesse conversazioni fra concittadini si concludono, non di rado, in
altrettanti rimpianti per il bel tempo che fu.
Un
torinese purosangue riuscirebbe a rinunciare alla sigaretta; forse
anche al Barbera, ma quanto a piantarla con i ricordi del primo ‘900
proprio non se ne parla. Forzato a farlo, opporrebbe resistenze degne
d’un poppante aggrappato al seno materno.
I
primordi della cinematografia, i ruggenti anni ’30, ma anche i
ricordi del periodo bellico sono radicati e celebrati al punto da
insinuare, in chi si ferma per una fuggevole sosta, la sensazione
d’aver pilotato una macchina del tempo capace di sbatterlo in
epoche che l’accelerazione della modernità rende remote.
Estremi
I
giudizi su persone o situazioni hanno la poco invidiabile
caratteristica di svicolare dalle vie di mezzo. Per risultare degni
di qualche considerazione occorre essere santi o mascalzoni.
La
scarsa disponibilità al compromesso forse spiega perché la città
abbia tenuto a battesimo tanto la benemerita quanto personaggi di
eccelsa santità. Da una parte Don Bosco ed il Cottolengo, dall’altra
pochi di buono che, quando proprio vogliono distinguersi dal resto
dei comuni malviventi senza averne la stoffa, non disdegnano di
andare ad ingrossare le file dei satanisti; una bizzarra
confraternita che qui (tanto per gradire) pare vada molto di moda.
E cos’è
che si trova se appena ci si avventura tra i classici della
produzione letteraria ? Il libro "Cuore"; zeppo di esempi
esagerati al punto da dare il voltastomaco e gli scritti di Lombroso
(uno che non poteva fare a meno di vedere delinquenti dappertutto).
Il
lavoro
Se c'è
un primato impossibile da disconoscere ai Torinesi è quello della
laboriosità.
Come si
sfacchina da queste parti nelle altre zone nemmeno se lo sognano. I
problemi, semmai, sorgono al momento di tirare le somme.
Si dice
che i romani non riescono a produrre mai un c.. Gira e rigira tale e
quale come succede da queste parti, solo che, da noi, non c'è verso
di conseguire analogo risultato senza farsi sopra un culo così.
Ci si
lamenta del fatto che almeno l'ottanta per cento delle cose
realizzate a Milano sia frutto di intuiti partoriti sotto la Mole. E
la vittoria del senso pratico su quello burocratico dove la mettiamo
?
Quanti
rivendicano alla città probabili origini egizie dovrebbero
approfondire le loro ricerche. Non mi meraviglierei se vi
rintracciassero forti influssi bizantini. Da dove altro potrebbe
derivare quella tendenza a voler sempre spaccare in quattro il
capello ?
Siamo
ancora alle prese col problema degli estremi. Ogni mente pensante è
chiamata a vedersela con una selva di teste d'uovo, lautamente pagate
per togliere allo sventurato il vizio delle innovazioni.
Talvolta
non si tratta nemmeno di semplici accanimenti burocratici, ma di vera
e propria pignoleria minchionesca; simile, per più versi, a quella
del tizio concentrato sul dito di chi si sforzava d'indicargli il
cielo. Collocati al posto dello sconsiderato, si potrebbe star certi
che, i superburocrati subalpini, dopo prolungate analisi sui
connotati di quell'indice, non mancherebbero di sfornarci sopra
interi trattati.
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