VIVERE A TORINO

Osservazioni semiserie in omaggio al detto "Paese che vai……"


Una sera Giangastone dei Medici, sentendosi depresso, chiamò a sé il Fagioli perché lo risollevasse con qualche bella bischerata. E quello, che era un comico con i controfiocchi, "Vi dirò che ovunque vada non sento altro che parlar bene della signoria vostra".

"Ma….", osservò il granduca, "veramente…..mi aspettavo una bischerata !"

Al che l’altro, ribattendo prontamente : "E dove la trovereste una più buona di questa ?"

Non è per cattiveria, ma ogni volta che rifletto sulle differenze che intercorrono a Torino tra dire e fare, non posso fare a meno di apprezzare l'arguzia insita in questo gustoso aneddoto.

Contrasti

Sono quelli che più fanno rabbia.

E’ tipico della zona promuovere iniziative lontanissime dai reali bisogni del momento.

Qualche esempio ?

La Fiat sbatte per strada diverse migliaia di dipendenti. Potrebbe essere il momento buono per incrementare la presenza degli hard discount. Cos’è, invece, che ti vanno ad organizzare ? Quella provocazione bella e buona che è il salone del gusto; una carrellata gastronomica stracolma di leccornie che toccano, con l’avvento dell’euro, prezzi più proibitivi delle prestazioni praticate dal Viva Lain.

Passando, poi, alle consuetudini è impossibile non notare atteggiamenti e reazioni lontanissimi dal modo in cui ci si comporta nel resto del paese.

Se schiacciaste la coda d’un cane, con tutta probabilità la bestiola s’affretterebbe a mordervi. Pestando malamente un piede (specie se afflitto da calli) un partenopeo non ci penserebbe due volte a mandarvi a quel paese. Operando allo stesso modo nei confronti d’un torinese tutto lascia presumere che si asterrebbe dall’imprecare, ma vi affliggerebbe con educate osservazioni sul modo più corretto di movimentare le scarpe.

L’italiano medio non può trattenersi dall’esternare i propri stati d’animo. Un protesto cambiario è più che sufficiente ad impegnarlo su vasti e coloriti campionari di bestemmie. Un terno a lotto lo spingerebbe a fischiettare l’intero repertorio delle melodie preferite. Tutto al contrario del vero torinese che, preoccupatissimo di occultare a chicchessia i propri stati d’animo, non farebbe una piega nella buona come nella cattiva sorte. Al punto che gli si potrebbero riconoscere doti simili a quelle dei Galiziani; gente, a quanto pare, capace di assumere atteggiamenti tanto ermetici che, incontrandoli per le scale, non ti fanno capire se stanno salendo o scendendo.

Per distinguere al volo un torinese doc da un immigrato non c’è nulla di meglio d’una pioggia improvvisa. Il secondo si agiterà scompostamente alla ricerca d’un riparo, probabilmente non si tratterrà dall’imprecare e, trovato riparo in un androne, si soffermerà a verificare platealmente lo stato del proprio abbigliamento.

L’autoctono, per contro, continuerà a camminare con la stessa naturalezza di chi procede sotto un cielo sereno. E per spingerlo ad infilare un portone occorrerà che l’acqua si decida ad assumere connotati torrentizi.

Impossibile salvarsi dalla

Pignoleria perbenista

Nutro il fondato sospetto che le delizie del politically correct non siano affatto farina del sacco USA, ma derivino dritto dritto dal modo di esprimersi degli abitanti di questa città.

Per convincersene basta scorrere le rubriche dei lettori che da queste parti sembrano fatte apposta per salvaguardare l’dentità culturale di quanti proprio non intendono rinunciare al proprio modo d’affrontare le cose.

Lettere che sembrano traslate pari da qualche garbato manuale ottocentesco redatto ad uso e consumo dei lettori di Bersezio. Al punto che se chi legge ha la sventura di essere forestiero avrà qualche difficoltà a scacciare il dubbio che la cosa possa nascondere studiate prese per il culo.

Sono missive che hanno il pregio di non trascurare proprio nulla. Una targa posta di sghimbescio in qualche vialetto di periferia diventa questione di vita o di morte. La denuncia dello sconcio si tira dietro, di norma, svariati altri interventi emulativi, che si concretizzano nella più serrata caccia a locandine e contrassegni fuori posto. Tutti avranno qualcosa da lamentare e non si daranno pace se non dopo aver collezionato petizioni su petizioni, appelli e quant’altro serva a smuovere i competenti servizi comunali che, reagendo con puntigliose precisazioni, contribuiranno ad allungare il brodo all’infinito.

Non manca nemmeno una certa vena delatoria che, quando non colpisce gente poco sensibile alle implicazioni ecologiche delle deiezioni canine, non può fare a meno di accanirsi su cespugli maltosati come su muretti sfregiati da antipatiche screpolature.

Ormai si procede per specializzazioni, che consentono ai più calvinisti di segnalare equivoci andirivieni condominiali, casi di turpiloquio, per non parlare di manifesti la cui sconcezza viene millimetricamente valutata in rapporto alla stoffa impiegata a nasconde le nudità.

Gli amministratori

E’ difficile che riescano a sottrarsi al fascino delle problematiche intercontinentali.

Come catapultati da una capsula spaziale, restano condizionati da vocazioni accentuatamente universalistiche.

Poniamo che in quartiere si sia creata una voragine che rischia di spedire all’ospedale quanti transitano nei paraggi. State pur certi che, prima di affrontare la cosa, il consiglio circoscrizionale non mancherà di cimentarsi in dibattiti e conseguenti ordini del giorno sull’andamento dei rapporti USA - Afganistan, con particolare riguardo agli sviluppi della crisi irachena.

Non è colpa loro; hanno mutuato la cosa dai politici che si sono incaricati del loro svezzamento. Il che spiega anche perché la civica amministrazione mostri sensibilità ancora maggiore in fatto di problematiche internazionali.

Costretti a calarsi sui problemi di loro effettiva competenza, i consiglieri non possono fare a meno di affrontarli alla grande.

Mentre l’indice di scolarizzazione si orienta sempre più minacciosamente verso il basso si finisce per puntare su Torino capitale della cultura europea.

Per fronteggiare opportunamente il vandalismo di chi non risparmia nemmeno le panchine del giardinetto sotto casa pare non ci sia rimedio migliore dell’allestimento di mostre ambientaliste i cui costi non mancheranno di rivelarsi inversamente proporzionali al flusso di visitatori che saranno in grado di richiamare. E per colmare eventuali carenze nella dovizia del patrimonio artistico non si potrà fare a meno di studiare acquisizioni di beni, presumibilmente artistici, da selezionarsi sulla base del maggior costo possibile.

E’ fatale che sia così. Le poltrone della Sala Rossa pare abbiano il potere (non si dimentichi che viviamo in una città magica per eccellenza) di trasformare in altrettanti esperti individui fermi alla scuola dell’obbligo. Non fanno in tempo a posarvi il culo che già sono in grado di sparare soluzioni ottimali per ogni tipo di esigenza (ordinaria o infrastrutturale che sia). Siffatte intuizioni, ovviamente, non potranno fare a meno di testarsi corroborandosi col sistematico ricorso a numerose trasferte; indispensabili per vedere un po come se la cavano gli altri capoluoghi; segnatamente quelli d'oltreoceano, ma anche (pena antipatici sospetti di razzismo) le metropoli del continente nero.

La diversificazione

Al ritorno da stressanti turnèe, scopriranno che qualche altro pezzo della produzione locale ne ha approfittato per prendere il largo. Ma che importa? Quel che conta è avere in tasca le ricette giuste; quelle che guardano al futuro con un tocco di salutare pionierismo. Se anche le industrie trasmigrano sarà tanto di guadagnato sotto il profilo della lotta all’inquinamento. Male che vada si potrà sempre ripiegare su promettenti riconversioni indirizzate al turismo culturale, senza trascurare quello agro-alimentare. E’ vero che, non fosse stato per MacDonald’s, quei quattro gatti piombati a Porta Nuova in pieno Agosto avrebbero avuto tutto il tempo di crepare di fame. Ma perché mettersi a sottilizzare ? E’ risaputo che, sulle prime, nessun sistema d’accoglienza nasce perfetto. Occorre dare tempo al tempo, attivare investimenti e stimolare la creatività di quanti, avendo trascorso alla catena di montaggio buona parte dell’esistenza, non possono non avervi acquisito quelle preziose cognizioni che li metteranno in grado di trasformarsi in altrettanti menager della piccola e media imprenditoria di settore.

Il laboratorio dell’arte

Si articola, in definitiva, sui grossi filoni dell’arte di regime, delle potenzialità delle nuove leve, nonchè sulla creatività d’importazione.

Molto si può fare partendo dalle strutture propulsive; da quei motori incentivanti, vale a dire, che è indispensabile riservare a quanti operano su incarico dell’amministrazione. Professionisti, per intenderci, che mettono tutto il loro estro nell’abbellire la città con monumenti ed installazioni destinati, da un lato ad assicurare il tutto esaurito sotto il profilo turistico (v. Luci d’artista ), dall’altro, a stimolare, con l’esempio, il serbatoio delle nuove leve che, originariamente composto da precari dell’occupazione, lascia ben sperare per il futuro.

E vogliamo trascurare il vero e proprio asso nella manica ? Quello che punta sui flussi migratori degli extraeuropei ?

Non c’è miglior modo di favorire l’accoglienza dei nuovi arrivati se non rilanciare, valorizzandolo al massimo, il patrimonio culturale ed artistico del quale sono portatori. Un bene prezioso che va, non solo tutelato, ma anche adeguatamente finanziato e ripetutamente proposto all’attenzione dell’elemento indigeno, promuovendo esibizioni a base di danze tribali e varie altre rappresentazioni che solo gli autoctoni più retrogradi (congiuntamente agli incontentabili di San Salvario) si ostinano a ritenere subalterni alle coreografie di chiaro stampo europeo.

Umanofobia e Convegnomania

Due carattertistiche che nel capoluogo subalpino procedono tenendosi per mano.

Per tacita intesa, costume o tradizione, non c’è condominio che non sia blindato contro i pericoli della conversazione. Del tutto naturale, per gli oriundi, ignorare l’esistenza di chi vive al piano di sotto come a quello di sopra.

Altrove, prima o poi qualche battibecco condominiale potrebbe servire a rompere il ghiaccio. Cosa, da noi, del tutto impensabile, visto che, per consolidata abitudine, si preferisce rivolgersi direttamente all’amministratore, al comando dei vigili, quando non addirittura a quello della benemerita.

Chi è immigrato da tempo ci ha fatto il callo, ma per i nuovi arrivati sono c.. Passeranno settimane, se non mesi, prima che scaccino il dubbio che l’intero condominio possa avercela con loro.

Perfino i balconi, che nelle altre città del belpaese servono a curiosare sulle faccende del vicinato, qui hanno un ruolo decisamente ornamentale. Non fosse per l’immagine, potreste eliminarli che gli abitanti nemmeno se ne accorgerebbero.

Se provate a rivolgere una battuta al dirimpettaio, è da escludere che possa rispondervi per le rime. Molto più probabile che vi giudichi un mezzo squinternato. E non è detto che non si affretti a togliervi il saluto.

Fatta eccezione per gli uffici pubblici (notoriamente presidiati da personale mediterraneo), quelli gestiti e condotti da elementi indigeni mantengono ancora la consegna del silenzio. A chi dovesse penetrarvi, arrivando fresco fresco da Roma o da Napoli, nulla e nessuno toglierebbe dalla testa d’esservi piombato nel momento meno indicato. I più accorti se ne allontanerebbero alla svelta, convintissimi che da un momento all’altro potrebbero trovarsi testimoni d’una baruffa fra dipendenti la cui tensione (tutto lo lascia intendere) pare giunta al punto di rottura.

Ci sono momenti in cui prende corpo il sospetto che la città più che di esseri umani sia popolata da quei moderni alieni comunemente definiti risorse umane.

Si potrebbe concludere che, escluse le rituali espressioni di saluto (buongiorno e buonasera), nemmeno sottoposta a tortura, gente siffatta riuscirebbe ad imbastire un dialogo da cristiani.

Ed invece non è così.

Per un fenomeno di tipo compensatorio tutto ciò che non si riesce a cavare di bocca a livello di rapporti interpersonali finisce per scaricarsi, con massima irruenza, nell’alveo degli innumerevoli convegni, incontri, dibattiti e tavole rotonde la cui sola elencazione assicura pane e companatico agli editori delle tante guide gratuite generosamente disseminate per ogni dove.

Sono iniziative che rivelano verità impensate. Non si finirà mai di meravigliarsi su quanto numerose siano le persone interessate a seguire con la massima attenzione argomenti sconosciuti perfino alle più aggiornate edizioni della Treccani.

Frequentatori di corsi e riunioni che non trascurano proprio niente dovranno avere una testa così. Non è da escludere che siano altrettanti geni. E questo, forse, servirebbe a spiegare la difficoltà cui vanno incontro quando, tirati per i capelli, dovessero intrattenersi a conversare del più e del meno.

Cadaveri eccellenti

Torino ha mille buone ragioni per contendere a Milano la palma delle conquiste liberali.

Non dimentichiamo che vi è stato promulgato uno Statuto (senza contare che c’è pure una piazza) mentre quei disgraziati di meneghini erano ancora aggrappati alle barricate del ’48. Del tutto naturale che vi s’incoraggino le iniziative più svariate ed innovative; anche quelle meno pulite.

Due sole cose è impossibile fare: edulcorare la cappa di grigiore che la sovrasta e praticarvi la carriera di scrittore, pensatore o affine.

Due limiti per i quali sarebbe ingeneroso gettare la croce sui responsabili dell’amministrazione. Il fenomeno ha datazione plurisecolare e non resta altro da fare che mettersi l’anima in pace.

Già nel settecento, a Casanova (che pure era uno stacanovista in fatto di permanenze nelle città europee) gli si rizzarono i capelli al punto che, dopo un solo pernottamento, si precipitò ad allontanarsene.

Tra i rari viaggiatori che avevano invece onorato la città con più lunga permanenza figura nientepopodimeno che il celebre Nostradamus. Un’eccezione ? E dove altro avrebbe potuto trovare l’ispirazione necessaria a ritoccare nel modo più appropriato le sue profezie ? (Una produzione che non è esattamente quanto di più esilarante la letteratura dell’epoca fosse in grado di sfornare).

Non è trascorso un ventennio da quando ci si provò a forzare la sorte sfruttando la circostanza del Carnevale.

Non l’avessero mai fatto ! Non solo la città, ma finanche i dintorni restarono funestati da una serie di sciagure tanto gravi da occupare larga parte dei telegiornali nazionali.

Agli scrittori non farebbe male una buona dosa di sana superstizione (meglio ancora se accompagnata da valide cognizioni circa l’impiego delle più efficaci pratiche scaramantiche).

Prima di metter mano alla penna, dovrebbero strofinare a più riprese il corno portafortuna, grattarsi a fondo le palle ed assicurarsi che il ferro di cavallo sia sempre ben fisso dietro l’uscio di casa. Quanti, forse perché menomati da eccessivo laicismo, hanno trascurato di farlo, non sono sfuggiti ad una sorte che, nel più benigno dei casi, li ha spediti difilato in manicomio.

Editoria locale

I rari superstiti della mattanza, fermamente decisi a non lasciarsi fottere, devono aver stretto con la malasorte un patto, in virtù del quale potranno risparmiarsi il funerale a condizione che trattino solo ed esclusivamente argomenti di natura tale da garantire assoluta indifferenza in chi vive fuori dai confini del Piemonte-Val d’Aosta.

Per tacito accordo le case editrici, che pure sono numerose, vivacchiano sfornando testi rigorosamente omologati sotto il profilo del localismo. Uniche produzioni praticabili: la memorialistica (specie se limitata a casa Savoia ed ai soli combattenti piemontesi dell’antifascismo), la saggistica (di piccolo cabotaggio), almanacchi e calendari. Unico strappo consentito: i trattati di esoterismo che, risultando produzione tipica del capoluogo subalpino, potranno spaziare a proprio piacimento impestando a più non posso le centinaia di bancarelle disseminate lungo i portici del centro storico ed alimentando un'altra tipica specialità locale; quella della

Misteriologia esoterica

Per ogni centro abitato una fontana è una fontana, ed una statua nient'altro che una statua. Uniche cose capaci di catturare l'attenzione: quelle che hanno a che vedere con la loro funzionalità. Ci si preoccupa che l'erogazione dell'acqua sia tale da non favorire antipatici straripamenti e ci si assicura che la statua non risulti posizionata alla carlona; col pericolo che vada a fracassare il cranio di innocenti passanti. Attenzioni, queste, che, per i torinesi, rivestono ruoli del tutto marginali al confronto degli arcani significati che deve obbligatoriamente possedere ogni monumento che si rispetti.

Perchè mai la tale statua ha un dito puntato in avanti ? Se affermassi che all'artista riusciva bene così direi una grossa bestialità. Per vedere le cose nella loro giusta luce è necessario comportarsi come faceva Totò nella celebre scena del vagone letto. Partire dall'inclinazione dell'arto per seguire una traiettoria ideale che, nel caso del comico, portava difilato al fondo schiena della Barzizza, ma che, nel capoluogo subalpino, non può fare a meno di indicare centri di forza (che, va puntualizzato, poco hanno a che vedere con la residenza dell'Avvocato).

Poniamo che uno abbia costruito una meridiana. E' perchè gli mancava l'orologio ! Direste; e sbagliereste di grosso. Arrivereste a correggervi solo con l'aiuto di chi, provvisto della necessaria pazienza, vi farebbe notare che il diametro del marchingegno, elevato al quadrato e moltiplicato per cinque, corrisponde esattamente alla guglia della Mole. Un arcano, che pone, ovviamente, grossi dilemmi, sui quali da tempo si sta scervellando il fior fiore dei ricercatori. Specie dopo che sono state scoperte inquietanti analogie tra l'arcata del portone sottostante ed un'architrave della sede che un tempo ospitava la confraternita della buona morte.

Le fisse

Qualsiasi persona normale lascia intendere d’aver superato la soglia dell’adolescenza nel momento in cui mostra di voler arricchire con continue innovazioni i propri riferimenti culturali.

Questa regola, universalmente accettata, pare proprio che a Torino non goda diritto di cittadinanza. Per dirla più chiaramente, non si è considerati sotto il profilo letterario se si ha la disgrazia di non conoscere vita, morte e miracoli di Pavese. Uno che te lo trovi dappertutto, manco fosse il fondatore di qualche religione o un fantasma in vena di persecuzioni.

Non è detto nemmeno che quanti ne parlano abbiano letto i suoi libri, ma sono costretti a farlo per non passare da ignoranti. Un comportamento, del resto, già abbondantemente collaudato a carico di De Amicis; uno che ha smesso di andare alla grande da quando s’è risaputo che si comportava, nella vita privata, in modo diametralmente opposto da come voleva darla a bere in quel suo capolavoro che ci ha guastato le migliori giornate della nostra infanzia.

A nessuno salta in mente che, quando l’insistenza supera i limiti dell’umana tolleranza, si rischia di rievocare ciò che Mark Twain ebbe a dire a proposito di Michelamgelo (Andando a Roma e scoprendovi i suoi capolavori rimpiangerete che un tale genio non sia più in vita. Tuttavia, permanendovi per qualche tempo e sentendo parlare sempre e solo di Michelangelo, finirete col rimpiangere di non averlo visto morire)

Gli eroi

Per svariate generazioni tutti i ragazzi che approdavano in quinta dovevano vedersela con una specie di kami-kaze ante litteram e piemontese doc che, pur di togliersi la soddisfazione di andare in c. ai francesi, s’attaccava alla fiaccola per cacciarla deciso dentro un barile di polvere  .

Progredendo negli anni, quegli innocenti, resi edotti sulla scarsa propensione degli italiani a trasformarsi in bombe umane, avrebbero intuito che i fatti non erano andati esattamente come narrati dai testi scolastici. Più d’uno si sarà chiesto, allora, in cosa consisteva l’atto altamente eroico del minatore di Sagliano.

Domanda di tutto rispetto, ma alla quale è difficile rispondere se si prescinde da talune caratteristiche tipiche degli eserciti sabaudi.

In tutte le battaglie la gente muore senza fare tante storie. Non è, in altri termini, che, prima di esporsi al pericolo, uno possa dire "Accetto lo scontro a patto che, se dovesse andarmi male, ho la garanzia del monumento".

A San Martino, come a Solferino, i soldati che hanno fatto l’Italia morivano come mosche, ben consci del fatto che gli alti comandi se ne sarebbero fottuti di tramandarne la memoria. Ed allora? Come spiegare che Pietro Micca, più che un eroe, è considerato l’EROE; una figura, vale a dire, più unica che rara ?

Il bandolo della matassa sta tutto nelle tradizioni belliche del vecchio Piemonte, i cui eserciti erano composti da gente coraggiosissima, ma assolutamente incapace di prendere iniziative.

Ora, il fatto che un semplice minatore, presumibilmente analfabeta, avesse fatto qualcosa senza aspettare che gli venisse ordinata non poteva non concentrare su di lui l’attenzione sbalordita (prima ancora che ammirata) dei condottieri dell’epoca. Quando c. mai s’era visto qualcuno provvedere di testa propria alle emergenze d’un assedio ?

Chissà quanti commilitoni dell’uomo trasformato in monumento saranno morti in maniera del tutto gratuita per seguire ciecamente la consegna d’un qualche sergente che potrebbe aver intimato al Pautasso di turno: "Monta di guardia qui e non ti muovere !" Quello se ne sarebbe rimasto più immobile d’uno spaventapasseri, pronto a fare da bersaglio ad assalitori tanto incazzati da farlo secco prima ancora che potesse accorgersene.

Ve le ricordate le cariche del Savoia Cavalleria contro le batterie russe nella seconda guerra mondiale ? Una galoppata verso lo sterminio accettata senza che a nessuno saltasse in mente di telefonare alla neuro per verificare se chi aveva dato l’ordine fosse con le rotelle a posto. Risultato ? Tutti morti stecchiti (come la pubblicità d’un rinomato insetticida). Provate un po’ a girare per le strade di Torino, e se trovate un solo monumento dedicato a quei poveracci siete pregati di farmi un fischio.

Il muro del pianto

Chi è convinto che le funzioni dell’omonimo reperto costituiscano un’esclusiva dell’ortodossia ebraica farebbe bene a toglierselo dalla testa.

Per esteriorizzare le proprie doglianze sui perduti splendori Torino può fare a meno dell'ausilio di antiche muraglie. Giornali, convegni e le stesse conversazioni fra concittadini si concludono, non di rado, in altrettanti rimpianti per il bel tempo che fu.

Un torinese purosangue riuscirebbe a rinunciare alla sigaretta; forse anche al Barbera, ma quanto a piantarla con i ricordi del primo ‘900 proprio non se ne parla. Forzato a farlo, opporrebbe resistenze degne d’un poppante aggrappato al seno materno.

I primordi della cinematografia, i ruggenti anni ’30, ma anche i ricordi del periodo bellico sono radicati e celebrati al punto da insinuare, in chi si ferma per una fuggevole sosta, la sensazione d’aver pilotato una macchina del tempo capace di sbatterlo in epoche che l’accelerazione della modernità rende remote.

Estremi

I giudizi su persone o situazioni hanno la poco invidiabile caratteristica di svicolare dalle vie di mezzo. Per risultare degni di qualche considerazione occorre essere santi o mascalzoni.

La scarsa disponibilità al compromesso forse spiega perché la città abbia tenuto a battesimo tanto la benemerita quanto personaggi di eccelsa santità. Da una parte Don Bosco ed il Cottolengo, dall’altra pochi di buono che, quando proprio vogliono distinguersi dal resto dei comuni malviventi senza averne la stoffa, non disdegnano di andare ad ingrossare le file dei satanisti; una bizzarra confraternita che qui (tanto per gradire) pare vada molto di moda.

E cos’è che si trova se appena ci si avventura tra i classici della produzione letteraria ? Il libro "Cuore"; zeppo di esempi esagerati al punto da dare il voltastomaco e gli scritti di Lombroso (uno che non poteva fare a meno di vedere delinquenti dappertutto).

Il lavoro

Se c'è un primato impossibile da disconoscere ai Torinesi è quello della laboriosità.

Come si sfacchina da queste parti nelle altre zone nemmeno se lo sognano. I problemi, semmai, sorgono al momento di tirare le somme.

Si dice che i romani non riescono a produrre mai un c.. Gira e rigira tale e quale come succede da queste parti, solo che, da noi, non c'è verso di conseguire analogo risultato senza farsi sopra un culo così.

Ci si lamenta del fatto che almeno l'ottanta per cento delle cose realizzate a Milano sia frutto di intuiti partoriti sotto la Mole. E la vittoria del senso pratico su quello burocratico dove la mettiamo ?

Quanti rivendicano alla città probabili origini egizie dovrebbero approfondire le loro ricerche. Non mi meraviglierei se vi rintracciassero forti influssi bizantini. Da dove altro potrebbe derivare quella tendenza a voler sempre spaccare in quattro il capello ?

Siamo ancora alle prese col problema degli estremi. Ogni mente pensante è chiamata a vedersela con una selva di teste d'uovo, lautamente pagate per togliere allo sventurato il vizio delle innovazioni.

Talvolta non si tratta nemmeno di semplici accanimenti burocratici, ma di vera e propria pignoleria minchionesca; simile, per più versi, a quella del tizio concentrato sul dito di chi si sforzava d'indicargli il cielo. Collocati al posto dello sconsiderato, si potrebbe star certi che, i superburocrati subalpini, dopo prolungate analisi sui connotati di quell'indice, non mancherebbero di sfornarci sopra interi trattati.